La buona Equitazione

«Uno degli errori più frequenti che capita a tutti i cavalieri alle prime armi, intenzionati a iniziare il  ”lavoro in piano” con l’intento di approcciare ad una “equitazione superiore”, è quello di considerare gli esercizi come sostanzialmente finalizzati alla competizione che si vuole intraprendere, che si tratti dell'equitazione classica, del dressage  o delle monte da lavoro, come la doma vaquera o il reining .

Ecco che, gli stessi cavalieri, si accingono testardamente ad effettuare lo stesso esercizio molte volte, tentando di farlo eseguire al cavallo nel modo apparentemente più corretto. Se lo esegue lo premiano, se si ribella, lo puniscono.

La punizione, il premio, la ripetizione sono le coordinate per ottenere l’esecuzione dell’esercizio che si desidera, una sorta di meccanizzazione comunque mai consolidata, la progressione sarà così molto lenta e gli esercizi saranno privi di espressività, forzati, senza una vera collaborazione da parte del proprio partner, in una parola : brutti.

Gli esercizi non avranno altra logica che la ripetizione sino alla nausea del grafico da affrontare senza aderenza allo sviluppo muscolare e alla comprensione da parte del cavallo.  Così facendo, il cavallo sarà nervoso, non gradirà il lavoro, spesso si ribellerà, e tutto ciò condurrà solo alla conclusione fallimentare del lavoro svolto.

Tutto quanto sopra descritto, deriva sostanzialmente da un malinteso, cioè dall’aver confuso addestramento, ammaestramento e allenamento. Questi termini sembrano sinonimi e invece sottintendono grandi differenze che li distingue l’uno dall’altro.

Ma parliamone più dettagliatamente:

Ammaestrare è un termine che implica l’uso delle leggi che regolano i riflessi condizionati: ripetizione, premio, punizione etc..etc.. , per ottenere l’esercizio desiderato. Qui si concepisce il cavallo come essere intelligente, ma solo sino ad un certo punto. Può comprendere bastone e carota, ma è un essere inferiore da sottomettere alla nostra volontà, senza tener conto delle conseguenze sul suo stato fisico o psichico, perché la sua progressione educativa qualifica la nostra capacità, gratifica il nostro ego.

Allenare  è termine che tiene conto certamente delle qualità fisiche, e su queste punta tutta la capacità del cavaliere. Sceglie un soggetto di grandi qualità da potenziare, sviluppare, per rendere questa macchina di muscoli più efficiente. E’ un termine prettamente sportivo a basso contenuto culturale, perché, per il conseguimento dei propri fini , il premio, vede solo l’aspetto del potenziamento della dotazione naturale.

Addestrare, invece è termine più colto. Prende in considerazione la complessità della macchina, il suo equilibrio, la sua scioltezza, il potenziamento dei muscoli, ma anche la conservazione delle articolazioni etc. Interviene sulla dinamica del cavallo, asimmetrica e squilibrata in natura, per renderla simmetrica ed in equilibrio con l’uso di esercizi specifici, che di volta in volta sviluppano il potenziamento e la scioltezza dell’arto o della parte sottoposta all’esercizio. In questa concezione c’è la considerazione del cavallo come mezzo muscolare imperfetto da migliorare per ottenere un miglior risultato, più eleganza, più resistenza, più dinamica. Tiene conto e rispetta il suo corpo.  Punta il miglioramento non sulle doti del cavallo soltanto, ma sulle capacità tecniche e culturali del cavaliere.

Ma anche se  si introducono senza errori tutte e tre queste componenti nella pratica quotidiana, ciò non di meno soddisfa il desiderio di coloro i quali vogliono instaurare col cavallo un altro tipo di rapporto, una sorta di  dialogo intrapreso con un unico linguaggio correttamente codificato e  chiaro per entrambi i soggetti.

Osserviamo dunque il cavallo libero nel  paddok, trotta, galoppa, cambia di galoppo, improvvisamente si immobilizza, scuote la testa, entra in passage, annusando l’aria e con la coda dritta si pavoneggia, poi riparte al galoppo, fa una piroetta, un’altra e un’altra ancora, quindi, innervosito, si avvicina all’uscita e qui inizia un piaffer soffiando, poi nitrisce sino a quando qualcuno non lo riporta nel suo box a consumare il pranzo.

Tutti noi abbiamo assistito molte volte a questo spettacolo di eleganza e prestanza fisica. Cosa dovremmo insegnargli quindi  ?  ….. Nulla  !

Fare  E q u i t a z i o n e  significa saper ascoltare, saper sentire, saper comprendere, per poi poter comunicare al fine di instaurare un proficuo dialogo con quell’essere vivente che è di fronte a noi e che in natura è munito di una propria psiche, di un suo ben definito codice di comportamento e di un suo specifico linguaggio espressivo. Equitazione è esattamente questo: comprendere il linguaggio corporeo, saperlo utilizzare, poter entrare in sintonia col cavallo per guidarlo col proprio corpo, dolcemente, senza movimenti appariscenti, attraverso gli esercizi desiderati, proprio come fosse un dialogo, dove le parole sono sostituite da gesti leggeri e furtivi. Allora gli esercizi hanno tutti un loro significato, non solo di preparazione muscolare e fisica, che fa capo al capitolo dell‘addestramento di cui parleremo in altro articolo, ma soprattutto di comprensione tattile-corporea che ovviamente viene affinata dal totale rilassamento muscolare del cavaliere.

Con il tempo si riesce a comprendere e a dominare la propria motilità, e con essa la mobilità della propria cavalcatura. Per ottenere questo è assolutamente essenziale affinare la propriocezione per conseguire un assetto stabile e impeccabile.

Raggiungere la consapevolezza dei movimenti che eseguiamo col nostro corpo per non commettere “errori linguistici”; raggiungere un equilibrio stabilmente corretto, perché ogni alterazione modifica la capacità di linguaggio, guastando il dialogo e sviluppando incomprensioni. E’ solo quest’affiatamento corporeo e psichico, che trasforma l’equitazione in piacere, che non scaturisce dai compiacenti plausi  di spettatori incompetenti, ma è fine a sé stesso, frutto dell'armonia di due corpi, opera d’arte che svanisce nel momento stesso della sua esecuzione. 

 

L'equitazione è arte, ossia, espressione di un sentimento "raro", scaturito dall'emozione che il cavallo concede solo a colui che sa chiedere.» 

©  Article by Carlo BOCCUCCI