C'era una volta l'equitazione

«Uno degli effetti della globalizzazione dell'ultimo scorcio di secolo, consiste nell’implementazione delle relazioni e degli scambi culturali, a livello mondiale. Con essa, dunque, ci si riferisce oltre che allo sviluppo di mercati globali, anche alla diffusione dell’informazione favorita dai mezzi di comunicazione come media e internet, che oltrepassano le vecchie frontiere nazionali.

Indiscutibili e innumerevoli sono i vantaggi che questo fenomeno ha apportato alla crescita culturale dei popoli, ma resta un aspetto negativo identificabile nella "mercificazione della cultura" sempre più a basso costo, la quale finisce per  disorientare la bussola di quei principi e di quei valori umani inestinguibili e ineluttabili.

Pertanto, il concetto di arte così come pervenutoci dall'antica Grecia, ossia rispondente ai canoni più rigorosamente classici di bellezza, rischia di essere stravolto da modelli più a buon mercato e  di scarso valore espressivo, qualitativo e di contenuto. 

Per coniugare questo preambolo introduttivo con l'oggetto della mia considerazione, ossia l’Equitazione, è sufficiente osservare e riflettere sul proliferarsi, negli ultimi decenni, di quegli artisti del settore, per lo più improvvisatori, abituati ad autocelebrarsi come impareggiabili “maestri” i quali, avendo intuito come la spettacolarizzazione dell’equitazione sia l’esca migliore per quel pubblico “globale” dalle assopite esigenze gustative, investono i loro sforzi, anche con certe  apparizioni che stentano talvolta il faceto e il ridicolo, su ciò che gli riesce meglio, ossia la capacità di ingannare l’occhio del pubblico mediante mirabolanti fantasie scenografiche all'apparenza, ma nei fatti acerbe di sostanza; soddisfatti così di cavalcare l’onda del successo e di appagare quella loro insaziabile esigenza di esibizionismo e di approvazione, uniche e sterili motivazioni dei loro meri intenti rappresentativi. 

Sfruttando i loro cavalli, eccoli  dunque alle prese  con "spettacoli"  d’equitazione ricchi  di  costumi  d’epoca  fastosi o  futuristici,  appropriate coreografie e scenografie di ogni tempo e ogni luogo,  ma privi di contenuti qualitativi di significato tecnico che potrebbero valere da soli l’apprezzamento di un degno pubblico intenditore. Insomma il delitto dell'Equitazione moderna si configura a partire dalla dicotomia tra l'essere e l'apparire consumata inesorabilmente ad appannaggio dell'ultima.

La speranza di coloro che adorano il palcoscenico resta quella di incantare il pubblico, affinché questi confonda l’arte del saper teatrare l’equitazione con l’arte del saper fare equitazione. Quest’ultima forma d’arte, espressione solo di quei Grandi Maestri di un tempo che, ironia della sorte, mai hanno avuto bisogno o esigenza di spettacolarizzare o  esibire a tutti i costi la loro erudita conoscenza. 

 

 

Mi riferisco ai fondatori delle più antiche e rinomate Scuole d’Equitazione e loro epigoni, custodi di un’arte che travalica i confini della scienza fino ad orbitare nell’apogeo del classico più squisitamente inteso.

Così, dalle giovanili letture, mi sovvengono alla mente gli esempi e gli insegnamenti dei vari F. Robichon de La Guérinière, F. Baucher, A.C. Count d’Aurè , Général A.F. L’Hotte, G. Steinbrecht, Général A. Decarpentry, fino ai più recenti J. Licart, N. Oliveira, R. Klimke, J.C. Racinet, L. Valença; tutti capostipiti e pilastri della grande tradizione classica e tutti unicamente concentrati sia nella "codifica di un corretto linguaggio" utile per comunicare in modo più chiaro possibile con il cavallo, sia nella "ricerca dell'equilibrio", assioma universale dell'equitazione. Comunque, nessuno di loro è stato mai distratto dall’esaltazione dell’apparente e ingannevole trionfalismo che la fierezza di questo nobile animale trasmette a chi lo cavalca.

I luoghi ove si consumano quei desolanti "trionfi dell’apparenza", non sono solo gli ambienti delle sagre paesane o degli eventi fieristici nazionali e internazionali, ma anche certi concorsi sportivi promossi proprio da quegli Enti nazionali preposti alla tutela e al rilancio della migliore “Ars Equitandi”, che, così facendo e adeguandosi alla moda imperante, finiscono per organizzare eventi che esaltano e avvalorano quell’insana idea di equitazione come forma di spettacolo solo fine a se stessa.

Il ricordo di quei classici, ma  anche di quel mondo più recente, non ancora globale, ancora provinciale e legato alle tradizioni e culture locali, evoca ancora in me e in chi ha avuto la fortuna di conoscerli e apprezzarli, quel sapore di arte vera e autentica, lontana dalle mistificazioni artificiose di chi a tutti i costi vuole apparire, quell'arte attenta solo a porre esclusivamente "il cavallo al centro di ogni attenzione".»  

 

"L'equitazione è arte e l'arte nell'equitazione è l'espressione di un sentimento scaturito dall'emozione che il cavallo concede solamente a colui che sa chiedere."

 

 

©  Article by Carlo BOCCUCCI